Il consumo annuo procapite di pesce ha visto negli ultimi quarant’anni un notevole incremento a livello globale, arrivando nel 2016 a superare i 20 kg di pesce, risultato possibile grazie alla maggiore offerta dell’acquacoltura, alla domanda stabile, alla pesca record per alcune specie e alla riduzione degli sprechi. Tuttavia l’allarme generale riguardo lo stato di salute degli oceani non cessa; si stima infatti che un terzo degli stock ittici selvatici siano sovrasfruttati e un altro 30% sia cacciato al limite della sostenibilità biologica (SOFIA report 2016 - FAO).
Questa pesca eccessiva si ripercuote sulla capacità delle popolazioni selvatiche di riprodursi a livelli sufficienti da mantenere i tassi di crescita positiva e garantire il cosiddetto Rendimento Massimo Sostenibile*. Il forte squilibrio che si genera comporta un incremento degli sforzi di pesca, catture sempre più esigue e un prodotto di taglia minore, che si traduce in un aumento del prezzo della materia e in costi elevatissimi per l’ecosistema.
L’acquacoltura ha sopperito negli ultimi decenni a questa condizione di criticità del mercato, divenendo a tutti gli effetti il settore più in crescita dell’industria alimentare nel mondo (nel 2014 sono state prodotte più di 70 milioni di tonnellate tra pesce, molluschi, e crostacei – SOFIA report 2016 FAO).
Se da una parte la pesca sconsiderata degli ultimi cinquant’anni ha sfruttato gli oceani quasi fossero inesauribili, con impatti devastanti sull’ecosistema e sulla disponibilità delle risorse, dall’altra l’acquacoltura intensiva non può ritenersi esente da impatti negativi.
Tra questi si contano la compromissione chimico, fisica ed ecologica degli ecosistemi naturali ove vengono svolte le attività di acquacoltura intensiva, tramite il rilascio di sostanza organiche, farmaci, sostanze chimiche tossiche; l’inquinamento genetico delle popolazioni ittiche selvatiche per ibridazione accidentale con esemplari di allevamento; il sovrasfruttamento di stock di specie povere per la produzione di mangimi, impiegati nell’allevamento di specie carnivore (orate, branzini, salmoni). A quelli appena descritti si sommano altri effetti di natura indiretta, come la distruzione di interi ecosistemi costieri, ne è emblema il caso dei mangrovieti del sud-est asiatico abbattuti per far spazio agli allevamenti di crostacei.
Un settore in costante crescita come quello dell’acquacoltura deve cominciare a pianificare come aumentare la sua sostenibilità ambientale, principio cardine su cui fondare una sostenibilità economica di lungo termine.
Il consumatore può giocare un ruolo da protagonista in questi termini, orientando i propri stili di consumo verso scelte più consapevoli che considerino elementi importanti quali: la provenienza locale del pesce; la tipologia di pesca; la preferenza per specie meno sfruttate (specie povere) e il sostegno al mercato dell’acquacoltura estensiva e biologica.
* In ecologia della pesca il Massimo Rendimento Sostenibile indica il massimo sforzo di pesca che può essere applicato nel lungo periodo senza intaccare la consistenza e la capacità di rigenerazione di una popolazione ittica. Semplificando si può pensare che rappresenti il massimo numero di individui di una specie che possono essere pescati ad intervalli regolari di tempo senza causare il declino della popolazione in questione. Se questo valore viene superato si parla di sovrasfruttamento o overfishing.